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25 Ottobre 2025

Al via il Congresso Nazionale FISAR

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Fabio Italiano
Fabio Italiano
Classe 1968, nato e cresciuto nella cantina del ristorante di famiglia, ho avuto il privilegio di conoscere i migliori vini del mondo grazie a mio padre. Tra le mie mani ho visto passare il meglio della produzione vinicola italiana e francese: dal Sassicaia (allora ancora semplice Vino da Tavola) ai vari cru di Barbaresco di Angelo Gaja, fino ai super famosi Château Margaux, Château Lafite Rothschild, Petrus, solo per nominarne alcuni. Tra un servizio ai tavoli e l’altro, ho anche trovato il tempo per laurearmi in Ingegneria presso l’Università degli Studi di Palermo. Il 23-11-1998, giorno del mio 30esimo compleanno, mi trasferisco in Olanda per amore, dove ancora oggi vivo con mia moglie e i miei due figli. Bereilvino.it è il mio hobby e non mi ritengo un esperto di vino ma solo un appassionato!

«Il vino sta attraversando un momento delicato, di riflessione e di revisione, ma non di pericoloha dichiarato il Presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella. – Nella mia lunga carriera ho visto crisi anche più grandi di questa risolversi pienamente: il vino italiano ha sempre saputo rinascere, riconquistando il suo posto come prodotto simbolo dell’agroalimentare nazionale. Siamo i più grandi produttori al mondo e i più ricchi di biodiversità, territori e cultura, ma dobbiamo continuare a raccontarlo con forza, perché altrimenti rischiamo di essere superati da Paesi che non hanno la nostra storia né la nostra tradizione. Il futuro del vino italiano dipende dalla nostra capacità di fare squadra e di comunicare meglio ciò che siamo: un patrimonio unico, che rappresenta l’anima e la cultura del Paese».

Con questo intervento di Riccardo Cotarella, a Roma alla Biblioteca della Camera dei Deputati, si è aperto venerdì 24 ottobre il Congresso Nazionale FISAR 2025 con il convegno “Il vino come strumento di valorizzazione del Made in Italy”, che ha riunito alcune tra le voci più autorevoli del panorama vitivinicolo italiano per discutere le sfide e le prospettive del settore. L’incontro ha visto la partecipazione anche di Michele Zanardo, Presidente del Comitato Nazionale Vini DOP e IGP; Roberto Donadini, Presidente Nazionale FISAR; e dello chef stellato Davide Pulejo. I saluti istituzionali sono stati affidati all’On. Giorgio Mulè, Vicepresidente della Camera dei Deputati, e a Roberto Parrilla, delegato FISAR Roma e Castelli Romani.

«È arrivato il momento di superare le ombre dei campanili: fare rete tra le associazioni di sommelier è oggi una necessità, non un’opzione – ha dichiarato Roberto Donadini. – Solo collaborando tra realtà del servizio, della formazione e della produzione possiamo valorizzare insieme il nostro straordinario patrimonio vitivinicolo e affrontare con forza le sfide del futuro. È in questa connessione tra sala, cucina e territorio che il vino diventa cultura e strumento di crescita per l’Italia, e proprio per questo come FISAR lavoriamo ogni giorno per formare sommelier competenti e responsabili, capaci di promuovere un’educazione al vero e buon bere in collaborazione con istituzioni e associazioni del settore».

Il convegno si è svolto in un momento di particolare attenzione per il comparto vitivinicolo, influenzato dai nuovi dazi statunitensi e da un rallentamento temporaneo dell’export. Secondo i dati Ismea, gli importatori americani hanno anticipato le forniture nei primi mesi dell’anno, generando un effetto-scorta che ha alterato i flussi di vendita. Allo stesso tempo, il mercato intercomunitario rappresenta oggi circa il 40% delle esportazioni complessive, segno di una filiera che, pur tra luci e ombre, continua a dimostrare solidità. Non si delinea quindi uno scenario di crisi strutturale, ma piuttosto una fase di assestamento che richiede un riequilibrio e una comunicazione più chiara e responsabile, capace di valorizzare il ruolo strategico del vino per l’immagine e l’economia del Paese.

«Oggi l’Italia conta circa 530 denominazioni di origine e indicazioni geografiche, espressione di oltre 500 vitigni – ha ricordato Michele Zanardo. – Una ricchezza straordinaria, ma anche fragile: dieci denominazioni coprono il 50% del vino italiano esportato. È un dato che deve far riflettere: occorre lavorare insieme per valorizzare anche i territori minori e garantire una sostenibilità economica oltre che ambientale. L’Italia è stata tra i primi Paesi europei a dotarsi di una legge sulle denominazioni nel 1963: sessant’anni di storia che fanno del nostro modello un riferimento per l’Europa. Ma questa storia va rinnovata, perché il vino non è solo un prodotto economico, è una forma di civiltà».

«Le istituzioni dovrebbero valorizzare molto di più il fattore umano, non solo nel mondo del vino ma in ogni ambito – ha infine sottolineato lo chef Davide Pulejo. – È fondamentale educare i giovani, farli innamorare del proprio lavoro e permettere loro di portare questa passione nel mondo. Siamo ambasciatori del Made in Italy attraverso il cibo e il vino, ed è da qui che deve ripartire la crescita del Paese».

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