“Ho sempre pensato che questo territorio abbia potenzialità enormi, è un territorio baciato dalla fortuna dal punto di vista naturale. Ho sempre cercato di fare dei vini che siano espressione del territorio da cui vengono, puliti al naso e senza difetti, ma con espressioni aromatiche molto importanti, piacevoli al palato, che valorizzino il Negroamaro, il Primitivo e gli altri vitigni – autoctoni o meno – presenti in Salento. Perché no, facendo anche attenzione al mercato, senza ovviamente stravolgere i vini”. È una dichiarazione che Giuseppe Pizzolante Leuzzi, enologo della Cupertinum, tratta da un’intervista del 2010, anno di inizio della sua conduzione enologica della storica Cantina di Copertino. Sono parole che denotano la competenza specifica e tecnica, da una parte e, dall’altra, la cognizione complessa del settore. Se sommiamo queste due componenti alla conoscenza del comparto vitivinicolo nei suoi aspetti economici, legislativi, internazionali, emerge la complessità dei tratti distintivi della sua professionalità. Pizzolante Leuzzi è cresciuto a pane e agricoltura, l’interesse per l’agricoltura è diventata poi una grande passione per il vino. Dalla gioventù passata nell’azienda di famiglia, arriva ai diplomi in agraria e successivamente della Scuola di specializzazione enologica. Ha fatto parte dei giovani di Confagricoltura, partecipando ai consigli nazionali. Ebbe un incarico al consiglio europeo dei giovani agricoltori e fu delegato per l’Italia dei prodotti mediterranei, in particolare del vino. Un’esperienza importantissima. Capì la complessità e la dimensione planetaria delle politiche agrarie ed economiche. Un’esperienza che lo portò nel ‘96 a lavorare in Argentina, con un progetto di collaborazione e formazione enologica. Grazie a questo impegno, fu contattato da Ettore Mancini (personalità di altissimo livello culturale e scientifico), allora presidente di Confagricoltura che lo volle nella sezione economica nazionale. In quel periodo relazionò su questi temi al Parlamento europeo davanti a tutti i ministri dell’agricoltura. È passato qualche decennio da quegli incarichi e Pizzolante Leuzzi con la Cupertinum – e con altre cantine – ha raggiunto molti obiettivi, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti personali e premi internazionali ai vini. A quindici anni dall’inizio della sua collaborazione con la storica Cantina di Copertino lo incontriamo per fare un bilancio e farci raccontare il suo progetto enologico.
Sono passati quindici anni dall’inizio della tua collaborazione con la Cupertinum, è tempo di bilanci.
Si spera in risultati sempre buoni ed io pretendo sempre di più da me stesso. I risultati della cantina ogni anno sono non un punto di arrivo ma di partenza, uno stimolo a far sempre meglio. L’obiettivo è anche di stare vicino alle esigenze dei mercati, che evolvono molto rapidamente. Soprattutto all’estero, i vini a Denominazione controllata sono apprezzati, ormai sono una sicurezza e quindi garantiscono credibilità anche ai vini a Indicazione geografica tipica. Al momento siamo molto centrati e ben impostati con i vini e con il loro rapporto qualità-prezzo. In questi quindici anni abbiamo reso famosi alcuni vini, come lo Spinello dei Falconi che è ormai un emblema del territorio. Abbiamo definito lo stile del Copertino Doc, nelle sue tre proposizioni: Rosso, Riserva e Settantacinque, e degli Igt Salento: il Negroamaro Poggiani, il Primitivo Aldieri, il Rosato Spinello dei Falconi, lo Chardonnay Cigliano e il Glykòs Passito, multipremiato dai Sommelier dell’AIS e da molte guide. Abbiamo creato lo Squarciafico Rosato e lo Squarciafico Bianco, sempre Igt, una linea fresca e vivace attento al consumo giovanile ed estivo, e anche il Giortì, spumante (da uve negroamaro vinificate in bianco) che sta riscuotendo grande interesse. Ogni passo che facciamo diventa sempre una partenza per migliorare ulteriormente. Mi piace che i vini siano perfetti al naso e morbidi. Di questo siamo soddisfatti sia per quello che riguarda le Riserve sia per i vini più giovani. Ci prefiggiamo di raggiungere in maniera più soddisfacente il mercato nazionale, sviluppando in contemporanea la strada intrapresa con i mercati esteri; e poi rendere visibili, eleganti, accattivanti le nuove annate. La definizione delle nuove etichette va in questa direzione.
Recentemente, durante la manifestazione DolcePuglia, hai ricevuto un riconoscimento significativo dall’Associazione Italiana Sommelier. Sul diploma, i sommelier, scrivono: “All’enologo Giuseppe Pizzolante Leuzzi che con convinzione appassionata e riconosciuta maestria da anni contribuisce a forgiare passiti memorabili da vitigni cari alla tradizione pugliese”. I sommelier ti hanno dedicato delle serate di degustazione in cui hai presentato i tuoi risultati con il Negroamaro declinato in tutte le sue possibili declinazioni (Bianco fermo, Bianco spumante – Metodo Classico e Metodo Martinotti, Rosato, Rosso – Igt e Doc, Passito, e anche la Grappa Le Viole). Quando hai pensato di spumantizzare in bianco le uve di Negroamaro, producendo il Giortì, avevi già compreso la versatilità di quest’uva anche in questa declinazione?
In merito al premio dell’AIS ci tengo a sottolineare che è stata una graditissima sorpresa. Ho ritirato sempre dei premi ai vini e ricevere un premio a me stesso mi ha imbarazzato e reso felice. L’AIS Puglia, con DolcePuglia, è stata perspicace trovare un modo per valorizzare i nostri passiti e trovo ammirevole la ricerca che ogni anno il dottor Giuseppe Baldassarre sviluppa individuando e motivando dei nuovi abbinamenti tra vini dolci e primi o secondi piatti, svincolandoli dai soli abbinamenti con i dolci o dalla codificazione quali vini da fine pasto.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, ero certo che le basi del vitigno erano importanti ed è un altro motivo di soddisfazione aver compreso che il Negroamaro poteva dare ottimi risultati anche negli spumanti. Siamo riusciti a centrare l’obiettivo di ottenere un ottimo prodotto sin dalla prima annata, in questo caso con una buona tecnica enologica si rendono utili anche le uve meno mature. Ora, dopo cinque anni di produzione, abbiamo un controllo pressocché perfetto della vinificazione.
Nel 2013 hai prodotto la prima annata del Glykòs, in assoluto primo negroamaro passito vinificato in purezza.
La tecnica di appassimento per produrre il Glykòs è completamente agli antipodi rispetto alla spumantizzazione. La prima annata del Glykòs è stata una felice novità, innanzitutto come risultato, ma anche come interesse e vendite. Salento non c’era tradizione di passiti perché l’umidità – a causa dell’esposizione allo scirocco – nei mesi dopo la vendemmia era molto alta e non permetteva un appassimento perfetto. Negli ultimi vent’anni il cambiamento climatico, che a livello generale impensierisce tutti, ha cambiato un po’ le condizioni, la vendemmia è stata anticipata di quindici giorni (infatti la maturazione ottimale del negroamaro si è spostata a inizio settembre) e questo ci ha permesso di gestire meglio l’appassimento. Ho studiato molto per fare i passiti, tecniche e luoghi in cui vengono prodotti tradizionalmente (sia al sud: Sicilia, Spagna, che al nord: Veneto, Francia, Germania). Il mix di queste situazioni e informazioni ci ha portato a questo risultato: un vino composito, concentrato, sorprendentemente ricco di sentori di marasca e prugna e, nel finale, di mirto e radice di liquirizia. Che è diventato una delle bandiere della Cupertinum.
Nella relazione tra tutti gli aspetti di produzione di un vino è più importante il terroir, il vitigno, il lavoro dell’uomo, l’annata?
Direi in primo luogo l’annata, perché ci può essere il lavoro più bello e il terroir migliore, ma se l’annata è brutta si impone sugli altri aspetti. A parità di belle annate metterei prima il terroir e poi il lavoro dell’uomo, perché comunque le espressioni del territorio devono prevaricare il lavoro dell’uomo. L’enologia ha fatto in passato degli errori pensando di annullare il terroir, oggi invece il mercato ci chiede prodotti che siano espressione del territorio. Quando dico terroir intendo ovviamente la relazione tra vitigno e territorio.
Tra logiche del mercato e qualità, qual è la tua posizione?
Per essere realisti penso sia necessario un compromesso. A volte è bello fare poesia ma poi è il mercato che decide. Il mercato non è una figura astratta ma è tante persone che ogni giorno comprano una bottiglia di vino. Una delle attenzioni dei professionisti che lavorano in questo settore è conoscere i gusti delle persone. Oggi c’è una disaffezione verso i vini più strutturati e complessi e si sta andando verso vini di qualità che devono essere anche molto bevibili.
Infine, sempre nel 2010 avevi dichiarato: “Se Lecce è stata designata dalla Lonely Planet come una delle dieci città più belle da visitare, è certo merito del Barocco leccese e di chi ha saputo valorizzarlo, ma è merito anche di chi cura il territorio in cui Lecce è inserita, di quei contadini che con sacrificio coltivano quella foresta di oliveti che fa della strada che arriva da Brindisi una entrata regale e maestosa”. Ora quell’entrata regale e maestosa – a causa della Xylella – non esiste quasi più, quali sono le tue considerazioni?
Dopo la Xylella percorrere quella strada di olivi seccati era desolante, ora invece rifacendola ci sono molti positivi segni di ripresa, si possono notare nuovi impianti di olivi e nuove colture. È incoraggiante la forza di volontà e la bravura dei salentini. Credo che la futura entrata regale per Lecce sarà il simbolo dell’operosità dei salentini.