Tenuta Partemio: Vini autoctoni dal Salento tra terroir e progetto

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Quando qualche chilometro prima di Latiano si scarta dalla provinciale Brindisi-Taranto e ci si inoltra curva dopo curva per chilometri nella strada di campagna che porta alla Tenuta Partemio, la prima cosa che si nota è la bellezza dei luoghi, una pianura non piatta dove sommovimenti lievi e ondulati di terra rossa danno profondità ed estendono l’orizzonte, dove mandorli, fichi, fichi d’india e qualche palma rompono la sequenza di oliveti antichi e nuovi, e di estesi vigneti di negroamaro, primitivo e altri vitigni autoctoni.

I luoghi raccontano già molto della trasparenza progettuale dell’azienda vitivinicola salentina che sta emergendo con grinta nel panorama enoico nazionale facendo presagire ulteriori eccelse potenzialità. Rosso mattone sono gli edifici della cantina, posta quasi al centro del corpo aziendale, ombreggiata da un ciuffo di pini marittimi e palme. È qui che incontriamo il patron Giuseppe Dimastrodonato, che ci racconterà gli obiettivi raggiunti, gli intenti futuri e le caratteristiche della Tenuta Partemio.

Nella validissima équipe di tecnici e collaboratori spicca il nome di Franco Bernabei, uno degli enologi principe d’Italia, autore di decine di supervini stellati, tra cui ricordiamo delle vere “istituzioni” come il Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale, il Fontalloro e il Flacianello della Pieve, segnalato ormai da anni come uno dei migliori dieci vini del mondo da Wine Spectator. Che vini fa e che vini saprà fare Bernabei con le uve di queste meravigliose viti ad alberello? Non scopriamo le carte già da subito, iniziamo a conoscere la Tenuta Partemio e i suoi vini.

Iniziamo ovviamente dalla storia dell’azienda?

La mia famiglia – già impegnata in settore agricolo con aziende orticole, cerealicole e di allevamento – acquistò i terreni della Tenuta Partemio e per più di un decennio continuò a vinificare le uve dei vigneti che avevano un’impostazione molto produttiva e diversificata nelle varietà coltivate. All’inizio degli anni ’90 ci siamo trovati di fronte a un bivio: approfittare degli incentivi per lo svellimento o continuare con la produzione vitivinicola. Abbiamo scelto di continuare mutando tutto o in gran parte e scegliendo la qualità.

Così, dopo approfonditi studi di zonazione, analisi dei terreni, divisione – secondo le peculiarità – in cinque zone e recupero di selezioni massali molto accurate di vitigni autoctoni, abbiamo deciso di cambiare i sistemi di allevamento e dedicare a particolari terreni le varietà viticole più consone. È stato un lavoro che ci ha impegnato molto. Dalle viti di ottant’anni di susumaniello abbiamo tratto le marze per i nuovi impianti, abbiamo scelto i cloni più adatti di negroamaro, di primitivo, di aleatico, di fiano (che in Salento più della verdeca è da considerare vitigno autoctono), e abbiamo individuato nell’alberello e nella controspalliera a cordone speronato – con una densità che varia dai 5.000 ai 5.500 ceppi a ettaro – i sistemi di allevamento più adatti al nostro progetto. Le rese per ettaro variano in generale dagli 85 ai 100 quintali per ettaro, ma arrivano fino ai 30-35 nelle vigne di susumaniello del Nomas, uno dei nostri vini più conosciuti. I vitigni sono tutti autoctoni, tranne lo chardonnay, che ben si è acclimatato, e a cui il terroir dona una personalità individuabile.

Questo lavoro è stato diretto dall’agronomo Pino D’Amico (che collabora tuttora con l’azienda), con il contributo del dottor Mario Colapietra, dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Bari. Due esperti di valore. È stato un lavoro impegnativo, minuzioso, maniacale, scientifico.

Qual è la filosofia aziendale e le peculiarità della Tenuta Partemio?

La concezione produttiva è la coniugazione tra la ricerca della qualità e un prezzo conveniente e vantaggioso per gli appassionati. Per avere una prassi coerente con questa filosofia è fondamentale il lavoro qualitativo della materia prima: la tracciabilità è verificabile e visibile a tutti – a parte i venti ettari che ricadono nella DOC Brindisi situati a qualche chilometro da Latiano – ha un corpo unico aziendale con cantina al centro, che permette una lavorazione delle uve senza spostamenti e con una tracciabilità unica rispetto a quasi tutte le aziende pugliesi. Per la produzione del Nomas e dell’Aleatico decidiamo di anno in anno se la qualità è all’altezza dell’imbottigliamento. Un’altra nostra caratteristica è la valorizzazione dell’Aleatico, vino rosso dolce, poco conosciuto ma molto particolare, che lascia stupefatti gli appassionati per la sua personalità unica, e il potente Susumaniello. Il terroir è particolare rispetto ad altre zone salentine, caratterizzato da speciali terreni vocati e microclimi che segnano la personalità dei vini, con una grande vocazione per il negroamaro.

A proposito di squadra, avete dei collaboratori eccellenti…

È una conseguenza della progettualità dell’azienda, fin dagli inizi, sia con gli agronomi sia con gli enologi. Nel 2003 è nata la collaborazione con Franco Bernabei, enologo eccelso, che ha scelto di accettare la consulenza dopo aver verificato la serietà e le potenzialità dell’azienda. Ci ha aiutato tantissimo a crescere e a individuare un piano qualitativo rigoroso. Nel 2007 è iniziata la collaborazione con Giovanni Dimastrogiovanni, devo dire che non è stata una scelta facile ma non potevo lasciarmi sfuggire un’occasione così importante: avere un enologo salentino con esperienze prestigiose. C’era la possibilità che due personalità forti si potessero scontrare, invece non è stata una fatica farli dialogare prima e collaborare poi, sono entrambi grandi professionisti e hanno compreso che la dialettica e il confronto possono essere uno stimolo a far meglio.

Avete già avuto dei riconoscimenti?

I successi non si misurano tanto dai premi ottenuti, anche perché i premi non sono il sano obiettivo di un vino e di un’azienda, casomai la conseguenza. Il successo migliore credo sia quello di essere riusciti a ideare un’azienda e a costituire una squadra con certe caratteristiche, che in questa parte d’Italia non è poi così facile da fare. Abbiamo una filosofia dell’estrema correttezza ed estrema lealtà innanzitutto nei nostri confronti, per l’orgoglio del nostro lavoro e dei nostri vini, e quindi in maniera trasparente mandiamo i campioni reali dei nostri vini agli esperti per costruire un rapporto dialettico. I giudizi sono più che lusinghieri, non abbiamo avuto ancora mai i massimi risultati ma per coerenza, continuità e complessità della gamma dei nostri vini siamo considerati da tutti una delle migliori realtà pugliesi. Due-tre volte l’anno organizziamo delle degustazioni con chi è più esperto di noi, per avere un termometro di ciò che abbiamo in cantina. Ci piace anche il confronto con amici produttori toscani, siciliani e di altre regioni, verificando la qualità con vini con le stesse fasce di prezzo. Anche quest’anno le valutazioni delle Guide sono lusinghiere e devo dire che l’Oscar qualità-prezzo del Gambero Rosso per il Brindisi Doc e per il Rosato Tenuta Partemio è un risultato che ci gratifica perché sappiamo di produrre 500-600 mila bottiglie con un livello qualitativo alto. Stiamo guardando anche ai premi più ambiti, però nella giusta dimensione e con i giusti tempi.

Negli ultimi anni si è assistito a un vero exploit turistico del Salento e della Puglia in generale, è stato fatto abbastanza per creare un circuito virtuoso tra turismo, cultura e promozione del settore della vitivinicoltura?

Il Salento meriterebbe di essere attestato come patrimonio colturale oltre che culturale, così come è stato fatto per la zona del Saint-Emilion nella regione di Bordeaux. Gli oliveti secolari e i vigneti allevati ad alberello vanno salvaguardati perché fanno parte anche del patrimonio culturale. Se li togliamo rendiamo povero il territorio anche sotto l’aspetto del paesaggio e della sua bellezza, togliendo buona parte del fascino su cui si basa il successo turistico del Salento, però, la mancanza di reddito deve essere coperta con un intervento pubblico. Qui è d’obbligo una grande progettazione complessiva tra istituzioni, enti e privati che sappiano creare una sinergia tra cultura (musica, barocco, e molto altro), paesaggio (mare e natura), prodotti tipici e agricoltura.

Il consumo del vino è cambiato, si fa più qualità e meno quantità, e oltre al vignaiolo, all’enologo, al critico, al sommelier, al semplice consumatore, sono nate figure nuove nel panorama del settore enoico: l’esperto, il giornalista specializzato, il conoscitore, l’amatore, l’appassionato, l’enoturista… come ci si misura con questi cambiamenti?

Misurarsi con le esigenze del mercato è diventato più complesso e articolato proprio per queste ragioni e c’è la necessità di organizzarsi con risposte all’altezza delle richieste. Oltre a una comunicazione adeguata e mirata ai singoli attori del mondo del vino, credo sia importante dare informazioni chiare, verificabili, rigorose sulla coltivazione dell’uva e la sua trasformazione, sul vino e il suo affinamento, ma il consumatore non giudica più solo dal calice di vino e dalle informazioni scritte, vuole anche avere la possibilità di visitare l’azienda, verificando di persona le informazioni. Ecco allora che è necessario anche dare la possibilità di partecipare alle varie fasi della vita di un’azienda, dalla coltivazione alla vendemmia, dall’imbottigliamento alle degustazioni. Interloquire e interagire aprendo la cantina e dando le risposte al consumatore. Ricevere delle email dagli appassionati – com’è successo molte volte – che ci fanno i complimenti per la qualità dei nostri prodotti è per noi un successo e una grande soddisfazione.

Infine, quale sarà il futuro dei vini della Tenuta Partemio?

Vogliamo valorizzare ulteriormente in primo luogo due vini che già stanno entusiasmando critica ed esperti: il Nomas, da uve susumaniello e l’Aleatico rosso dolce, poi un bianco importante da chardonnay in purezza o con un’aggiunta di fiano e malvasia bianca, e un altro rosso costituito da un blend di uve di uve autoctone, per ora top secret. La linea Tenuta Partemio è invece un rigoroso progetto di offerta di una gamma completa di vini da uve autoctone. Sei vini che esprimono il meglio della relazione tra territorio e specificità varietale: Primitivo, Negroamaro, Bianco (da uve fiano e malvasia bianca), Rosato (da uve negroamaro), Salice Salentino e Brindisi rosso.

È venuta l’ora di ripartire verso strade e autostrade, si ripercorrono le curve sinuose della strada poderale ammirando ancora il paesaggio, che è terroir in senso ampio, e vengono alla memoria le parole che Andrea Zanzotto, uno dei massimi poeti contemporanei, scrisse a proposito dei Colli Euganei, ma che si adattano in maniera perfetta anche a questi magici luoghi salentini: “Esistono davvero certi luoghi, anzi, certe concrezioni o arcipelaghi di luoghi in cui, per quanto ci si addentri, e per quanto li si pensi e ripensi, o li si colga tutti insieme come in un plastico fissato da una prospettiva dall’alto, mai si riuscirebbe a precisarne una vera “mappa”, a fissarvi itinerari. La voglia che tali luoghi insinuano è quella di introiettarli quasi fisicamente, tanto sono vibranti di vitalità intrecciate e dense”.

Al Vinitaly – Verona 7-11 aprile – l’azienda Tenuta Partemio è al Padiglione 7, Stand A9.

TENUTA PARTEMIO, Contrada Partemio, S.S. 7 BR/TA – 72022 Latiano (Br) – Italy

tel. e fax +39.0831.725898 – www.tenutapartemio.itinfo@tenutapartemio.it

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