Spumanti batte il termine Bollicine

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E’ un sondaggio realizzato tra i maggiori giornalisti e opinion leaders del “Wine e food” italiano a sancire il successo dei vini Spumanti su  Bollicine come termine riconosciuto per i vini italiani che “producono la spuma”. L’indagine è stata richiesta  dal Forum Spumanti d’Italia su sollecitazione di diversi giornalisti stranieri e diversi importatori di molti paesi al fine di conoscere l’opinione di chi scrive e  come supporto di chiarezza al lavoro più economico-statistico  svolto  dall’Osservatorio Nazionale Economico  a  uno dei siti di comunicazione sul mondo del vino più cliccati  Winenews.it con oltre  18.000 enonauti.

Dal questionario emerge che “bollicine” è un termine  glamour ma che seguire la tradizione è la cosa migliore. Promosso quindi a pieni voti il termine “spumanti”, l’importante è che  tutti  i vini con tale ” menzione speciale” destinata in esclusiva dalla Unione Europea all’Italia sia prodotto seguendo regole rigorose, con maggiori vincoli qualitativi e territoriali. Gli spumanti italiani infatti, valgono tanto più quanto vale la cantina che li produce, ecco allora che a fare da traino sono principalmente i territori di Franciacorta, di Conegliano e di Valdobbiadene, il Trentino  o Trento e l’Asti a sottolineare il valore  aggiunto che ha la denominazione  per ogni grande vino.


L’indagine, indirizzata a 120 professionisti della comunicazione, ha tracciato la percezione di uno dei più interessanti prodotti dell’enologia del Bel Paese. Il 53% degli intervistati dichiara che l’impatto comunicativo del termine “spumante” è più efficace di quello di “bollicine”; nonostante che il termine “bollicine” sia in termini di marketing più accattivante,   è altrettanto vero che il suo senso resta eccessivamente vago e, nella peggiore delle ipotesi, addirittura banalizzante o assimilabile a tutte le “bevande gasate”; il termine “bollicine” potrebbe nell’immediato essere più glamour, ma la definizione “spumante” resta senz’altro più precisa, completa e già “sedimentata” nella lingua e nei comportamenti diffusi. Già  qualche volta utilizzata fuori dal” contesto eno-gastronomico” come sinonimo di successo,di positività,di briosità!


Il 94% ritiene che il comparto spumantistico dovrebbe avere più vincoli, qualitativi, territoriali, regionali e di metodo produttivo, di quelli attuali; per gli opinion leader del “wine & food”, il caos territoriale e normativo sembra davvero regnare sovrano; la qualità è affidata, salvo rare eccezioni, alla riconoscibilità dei brand piuttosto che al metodo imposto da un territorio. Ma il giudizio dei Trend-setter è ancora più duro quando si analizza la strategia di marketing dei vini spumanti nazionali e delle imprese e dei consorzi di tutela: quasi nulla la distinzione dei prodotti a marchio da quelli di massa anche nello steso ambito di impresa e territoriale tranne alcune pochissime eccezioni, scelta strategica tutta orientata sulla piacevolezza piuttosto che sulla sua intrinseca valorialità (intesa come processo, come territorialità e come qualità). Il maggiore auspicio (58%) – ma con qualche dubbio di fattibilità – è  che tutti i vini spumanti diventino  a denominazione d’origine. Dalle risposte dei “sondati” trapela la convinzione che, nel mondo spumantistico italiano, ci sia ancora molta confusione nella designazione,presentazione e classificazione.


Una medesima percentuale di risposte (58%), a conferma di questa sensibilità verso il potenziale degli spumanti a Doc/Docg, rileva che, sia sul piano della qualità sia su quello dell’immagine, gli spumanti a denominazione si distinguono nettamente da quelli privi di questa caratteristica, anche se gli opinion leader segnalano una differenziazione più consistente specialmente dal punto di vista dell’immagine, data, evidentemente, dalla capacità delle aziende dotate di più risorse, maggiore professionalità e una politica commerciale più articolata. Apparentemente contraddittoria la convinzione degli intervistati (76%) che esistano spumanti che risultano migliori in assoluto; una risposta che, evidentemente, va letta considerando il rilevante peso specifico dei grandi marchi di casa nostra. Per il campione sondato, non ci sono dubbi: esistono spumanti che valgono perché vale la cantina che li produce.


Un valore rimarcato ulteriormente dal fatto che gli opinion leader non hanno dubbi sul considerare i grandi territori degli spumanti ormai alla stregua dei luoghi dove nascono i vini tranquilli  più importanti: il piacere di bere uno spumante non finisce, insomma, con il finire della bottiglia, ma prosegue visitando vigneti e cantine per comprendere fino in fondo il loro spessore storico, sociale e culturale.


Quanto emerso, sottolinea Giampietro Comolli, conferma la bontà della strategia del Forum di voler portare avanti una normativa chiara nella designazione e presentazione dei vini, di puntare sul  tradizionale  logo-marchio merceologico internazionale riservato e non dei prodotti, di creare un sistema informativo e culturale per il consumatore, di non basarsi  a priori classificazioni teoriche, di valorizzare le diversità territoriali e  a denominazione,di puntare su un sistema produttivo governato da vincoli di qualità per il mercato interno – che ha certe esigenze – e il mercato mondiale che ha tutt’altre e globali necessità anche di difesa dei prodotti made in Italy e principalmente quelli di successo “.

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