Family business nel settore del vino, positivi i risultati

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La famiglia fa bene al vino e viceversa. È questo il risultato del Progetto di rilevante interesse nazionale (Prin), dal titolo “Modelli di family business nel settore vitivinicolo”, sviluppato dalle università di Trieste (prof. Francesco Venier), Firenze (prof. Vincenzo Zampi), Milano (prof. Francesco Maria Spano), sotto il coordinamento nazionale dell’ateneo di Palermo (prof. Sebastiano Torcivia). Il Prin è stato presentato questa mattina a Castello Utveggio a Palermo. Il progetto ha studiato, attraverso metodologie di indagine sia di tipo qualitativo che quantitativo, le relazioni tra la proprietà, la governance e la direzione adottati e la longevità delle aziende familiari.

L’unità di ricerca di Trieste si è concentrata sui cosiddetti “cluster”, ossia sui raggruppamenti territoriali di aziende e istituzioni interconnesse orizzontalmente o verticalmente operanti all’interno di una filiera allargata di attività. Il clustering potrebbe rappresentare una strada percorribile per superare l’arretratezza competitiva. La seconda parte della ricerca si concentra solo sulle circa 500 imprese produttrici di vino (escludendo le imprese solamente viticole) e focalizza l’aspetto dinamico e funzionale del cluster, spostando l’attenzione sui flussi di conoscenza come bene fondamentale condiviso e alimentato in un processo di “apprendimento collettivo” all’interno del cluster. Per le imprese analizzate, non sembrano emergere delle best practice e convivono imprese che sembrano gestite secondo criteri manageriali con altre che al contrario sembrano condotte in modo piuttosto estemporaneo, con una visione strategica piuttosto limitata e una chiusura al capitale di terzi .

Dall’indagine da parte dell’unità di ricerca di Milano, emerge che il contesto sociale ed economico influenza il settore. La famiglia tende a restare unita per garantire il mantenimento della fonte di reddito. Ci sono dei problemi nel rapporto tra la famiglia e l’azienda e sono relativi alle strategie di medio lungo periodo da definire e attuare. I membri possono entrare a lavorare in azienda dopo aver conseguito un diploma o una laurea, come anche i parenti acquisiti ma solo dopo aver dato priorità ai figli. In generale, non ci sono percorsi definiti e non è particolarmente incentivata l’esperienza all’esterno dell’azienda per una questione di approccio culturale. Si considera molto importante che l’azienda rimanga di proprietà della famiglia soprattutto per orgoglio e reputazione. A Firenze si è cercato verificare se e come il passaggio generazionale possa rappresentare un momento di svolta nel modello imprenditoriale, cercando di mettere anche a fuoco se vi siano dei parallelismi

fra la situazione attuale e quanto avvenuto nel corso degli anni ’70 e ’80, in cui proprio il ricambio generazionale ha rappresentato uno dei principali fattori di rinnovamento e di nuovo sviluppo del settore. Sono state così individuate 5 aziende da sottoporre ad analisi approfondita, attraverso lo svolgimento di interviste ad hoc. In parallelo è stato preparato un questionario che è stato somministrato on-line ad un campione di imprese più ampio tra quelle associate al Consorzio del Chianti Classico. Dai risultati emerge la seguente divisione delle imprese chiantigiane: individuali (7,2%), familiari in senso proprio (51,5%), familiari a gestione manageriale partecipata (15,5%), family business a conduzione manageriale (13,4%), imprese non a carattere familiare (12,4%). L’unità di Palermo ha effettuato cinque interviste alle “famiglie del vino” dalle quali si può confermare una delle ipotesi di ricerca, ossia che la famiglia dell’azienda è vista e sentita come una comunità di pers one, i rapporti tra famiglia e azienda vengono visti come di grande sinergia e simbiosi. C’è anche una condivisione di valori quali l’etica e la correttezza. L’unità familiare è un processo spontaneo, ma che va coltivato per cercare di mantenere la coesione nel tempo. Il clima familiare rimane invariato anche nei casi di fusione aziendale.

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