La DOC Piave verso due nuovi importanti riconoscimenti dopo la pubblica audizione di mercoledi 16 a

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Il produttori vitivinicoli della Doc Piave hanno raggiunto un importante traguardo, ieri a Palazzo Foscolo di Oderzo, grazie alla serena e costruttiva riuscita della pubblica audizione relativa alla modifica e integrazione del disciplinare della Doc “Piave” o “Vini del Piave”, programmata dal Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini. Un’appposita commissione nominata dal suddetto comitato e composta da Herbert Dorfmann (presidente) Ezio Pelissetti e Terenzio Ravotto, alla presenza del funzionario del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali Stefania Fedeli, i produttori della Doc Piave hanno potuto assistere alla lettura del nuovo disciplinare di produzione dei vini del Piave Doc e proporre gli ultimi perfezionamenti allo stesso, modificato secondo le richieste dei produttori stessi ed approvato già da oltre un anno dal comitato vitivinicolo veneto.

Due, sostanzialmente, le grandi novità del nuovo disciplinare: l’introduzione della tipologia “Superiore” per il Raboso Piave Doc e il riconoscimento della tipologia “Carmènere”: importanti modifiche che saranno ora discusse presso il Ministero e, secondo la tempistica indicata dal commissario Pelissetti potrebbero entrare in vigore a tutti gli effetti nei prossimi due-tre mesi, ossia prima della vendemmia 2008.

“L’identificazione della tipologia Superiore – spiega Pierclaudio De Martin, presidente del Consorzio Tutela Vini del Piave – è nata dalla volontà di conferire al Raboso Piave una sorta di titolo di merito, anche alla luce della rivalutazione di questo vigneto operata da alcuni tenaci ed appassionati produttori, che hanno fatto sì che con il Raboso i vini del Piave trovassero una sorta di “bandiera” capace di comunicare ad un pubblico molto vasto e di attirare l’attenzione di critici e consumatori verso tutta la produzione del Piave. Ora che lo strumento “Superiore” è a disposizione di chi vorrà attenersi alle nuove regole, sono certo che il Raboso potrà ottenere nuove e grandi gratificazioni”.

Anche se le regole di coltivazione e produzione non sono certo argomento facile da affrontare, proviamo comunque a spiegare in che cosa sarà il Raboso Superiore dovrà essere diverso dall’altro Raboso Piave Doc.

Ed è ancora De Martin ad illustrare che: “anzitutto la resa massima di uva ammessa per la produzione di Superiore sarà di 120 quintali per ettaro, in luogo del 140 richiesti per il Raboso Doc, ma la novità più importante riguarda sicuramente l’appassimento delle uve, pratica già adottata da molti produttori senza che questa fosse contemplata e quindi regolamentata dal precedente disciplinare della Doc. Ma poiché in molti casi i successi raggiunti dal Raboso Piave negli ultimi anni sono stati determinati proprio dall’inedita morbidezza conferitagli dall’appassimento, regolarne percentuali e tempi era oramai necessario”.

In termini tecnici ma comprensibili cosa prevede a tal proposito il nuovo disciplinare? “Che il Raboso Superiore dovrà contenere uve sottoposte ad appassimento per un quantitativo variabile tra il 15 e il 30%– aggiunge sempre il presidente del Consorzio – e che dovrà avere un titolo alcolometrico minimo di 11 gradi in luogo dei 10,5 richiesti per le altre tipologie di Vini Piave, nonché presentare un’acidità più bassa del Raboso Doc. Inoltre, dovrà superare un periodo di invecchiamento di almeno trentasei mesi, di cui almeno dodici in botte e quattro in bottiglia”. 

Piccole ma non secondarie variazioni, quindi, rispetto alla produzione corrente di Raboso Doc, per fregiarsi di un titolo selettivo e competitivo, ma anche – pur se questo né De Martin né i consorziati lo ammetteranno esplicitamente – per cominciare ad avvicinare il Raboso all’ottenimento del fregio di un ambizioso, ma non irraggiungibile, marchio Docg.

Molto più significativo in termini “numerici” è l’altro traguardo oramai prossimo dopo la pubblica audizione: la definizione della paradossale situazione del vitigno Carmènere, antica varietà bordolese arrivata nel Nordest italiano alla fine dell’Ottocento, assieme al Cabernet Franc nell’Ottocento e presto confusasi con quest’ultimo. No, non tanto dai viticoltori, che sanno ben distinguere quest’uva a lungo definita “Cabernet franc italiano”, quanto dalla Legge, che ne ha lungamente vietato non solo l’utilizzo per ricavare vini che ne dichiarassero il suo nome in etichetta, ma anche la coltivazione di uve così denominate.

“Così abbiamo prodotto una non irrilevante quantità di Carmenère annegandolo nel mare magnum del Cabernet Franc – commenta il vicepresidente del Consorzio, Antonio Bonotto – mentre, ad esempio, sta provenendo dal sudamerica una grande quantità di questo vino, che ha avuto negli ultimi anni un successo tale da segnare un’autentica rinascita di questo vitigno. quasi del tutto dimenticato anche nella sua terra d’origine, la Francia”.

Non si tratta di discriminazione, ma di semplice confusione… che, però, come spesso accade, ha generato altre confusioni, particolarmente dannose in un periodo in cui i vitigni autoctoni sono sempre più apprezzati e ricercati, mentre i vignaioli del Piave hanno dovuto “nascondere” questo peculiare prodotto.

E’ ancora Bonotto a spiegare che “sin dal 1991, ossia da quanto l’Istituto Sperimentale per la Viticoltura ha chiarito l’identità del Carmenère, è stato avviato l’iter per ottenere l’autorizzazione all’impianto di questo vitigno con il suo vero nome. Ora, finalmente, grazie anche all’operosa collaborazione della Regione del Veneto, siamo riusciti a completare il percorso burocratico che consentirà ai viticoltori interessati d’autocertificare il possesso di vigneti di Carmenère, per la veloce iscrizione degli stessi nell’apposito registro”.

Burocrazia a parte, come sarà, dunque, il Carmenère Piave Doc che si potrò quindi degustare, molto probabilmente, nel 2009? “Sarà un vino singolare e di ottima qualità – spiega Bonotto – dalle doti di particolare freschezza e di un’eleganza non standardizzata. Un vino dalla personalità ben definibile, con particolari caratteristiche erbacee non solo congenite ma anche legate alla frequente impossibilità di ottenere, nella zona Piave, una maturazione completa di queste uve. Sicuramente non sarà un vino che passerà inosservato…”

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