1ª giornata di studio sul vino: “Innovazione – Il vino che berremo”

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Capire, interpretare, monitorare il presente per poter tracciare dei plausibili modelli dei “vini che berremo”. Questo lo scopo, pienamente raggiunto, della 1ª Giornata di Studio sul Vino: “Innovazione – Il vino che berremo”, svoltasi a Roma, presso l’Hotel Sheraton Eur, lo scorso 7 febbraio. Un’iniziativa fortemente voluta dallo scrittore Andrea Zanfi, per poter comprendere lo stato dell’arte della viti-enologia della nostra penisola, sia da un punto di vista tecnico sia di marketing, così da elaborare delle possibili strategie di intervento per rendere sempre più competitivo un settore così cruciale per l’economia italiana, soprattutto in vista di un mercato viepiù competitivo e globale.

E dunque, come le aziende dovranno  approcciarsi ai consumatori? In che modo sarà opportuno intervenire sulle leve di marketing? Da un punto di vista agronomico ed enologico, saranno auspicabili “fughe in avanti”, oppure sarà più sensato ripercorrere l’ortodossia della tradizione (ma quale tradizione?) o, ancora, si dovrà optare per un “ritorno al futuro”, ovvero effettuare una ricerca filologica delle proprie radici per poi attualizzarle ed innovarle?

Domande che hanno trovato ampio spazio di trattazione nel corso della Giornata, senza ovviamente la pretesa di arrivare ad una soluzione univoca di tutti i problemi. L’intento era semmai quello di “gettare benzina sul fuoco”, nel senso di sollevare tante questioni, punti di vista diversi e anche contrastanti, idee, scintille, pensate, scontri e incontri; scodellare una sorta di brodo primordiale, utile come punto di partenza per poi cominciare a plasmare, nei successivi appuntamenti già programmati per gli anni a venire, una serie di proposizioni più normative. Insomma: un brian-storming, più che un classico convegno.

Nel primo Forum della giornata romana, introdotto da un saluto di benvenuto del presidente Fisar Vittorio Cardaci Ama, si è parlato di “marketing come strumento di supporto alle aziende vitivinicole per affrontare la sfida alla globalizzazione”. Tra i vari interventi Luigi Odello – presidente del Centro Studi Assaggiatori – ha ricordato l’importanza di interrogare il consumatore per capire come questi si interfaccia con il vino e di conseguenza quali informazioni produrre per creare confidenza invece che timore riverenziale. Andrea Gabbrielli, noto giornalista di settore, ha snocciolato alcune cifre sul crollo della domanda di vino nella nostra penisola (e non solo), dovuto fra l’altro a nuovi stili di vita, un calo di cui le aziende faranno bene a tenerne conto, che porterà sempre più a battersi sui centesimi e a “finanziare” la distribuzione. Il consulente Gianni Usai ha ricordato l’importanza del marketing associativo. Mario Falcetti, agronomo e direttore generale della franciacortina Contadi Castaldi, ha sottolineato l’importanza del terroir a discapito di quella del vitigno: quest’ultimo solo un mezzo. Oltre alla necessità di formare i venditori, arricchendoli di “elementi differenziali”, magari anche con strumenti ludici, proprio come si fa all’azienda di Adro con il “Gioco della Cuvée”. Il giornalista Luca Bonci ha sottolineato come i siti Internet delle nostre realtà vinicole siano ancora in gran parte inadeguati; è importante che diventino più semplici e fruibili, costruiti da webmaster in sintonia con le esigenze di comunicazione delle aziende vitivinicole; sfruttando nuove risorse di rete quali i blog, le chat, i forum, di stimolo fra l’altro allo sviluppo dell’e-commerce. Ed un esempio di sito di grande efficacia lo ha illustrato Baldo Palermo, direttore marketing della siciliana Donnafugata. Roger Sesto ha dal canto suo ricordato come le etichette debbano saper comunicare soprattutto il territorio e la vigna più che la tecnica ed il vitigno; evocare emozioni, ma anche essere semplici, funzionali e dare indicazioni pratiche, senza però scadere nella banalità o nel genericismo. Mentre Andrea Zanfi ha tracciato i lineamenti del consumatore politicizzato, che si trova tra l’incudine del globalismo e il martello della globalizzazione.

Il secondo Forum aveva come focus: “I vitigni come elementi per un distinguo strategico delle aziende”. Attilio Scienza, in un intervento che non è certo passato inosservato, ha sottolineato come il dualismo terroir/vitigno sia in realtà un dibattito accademico ed un falso problema, e come i due aspetti coesistano. Ma ha pure ridimensionato il “derby” tradizione/innovazione. Per il professore la tradizione in un certo senso non esiste, oppure è legata a certi modi di fare il vino vecchi e di negativo impatto sulla qualità. Bisogna avere il coraggio di “tradirla”: l’Ue ha ingabbiato la viticoltura ad un modello valido mezzo secolo fa, cosa che invece non è successa con gli altri settori della frutticoltura. Sempre a detta del professore, ci troviamo a rincorrere vecchi vitigni di dubbia qualità, facendo della filosofia, invece di creare nuovi e ben più validi vitigni, per vini mediamente sempre più buoni, magari partendo dalla “riserva genetica” che si trova nel Caucaso. Dal canto suo Roberto Zironi, professore all’Università di Udine, ha sottolineato come il rilancio dei vitigni autoctoni sia un falso problema, giacché l’82% della viticoltura italiana si basa proprio su varietà indigene; la questione è semmai di valorizzarle, andando ad individuare e distinguere le cultivar “storiche” da quelle “minori”. È solo definendo per ciascuna varietà il miglior protocollo di vinificazione – là dove esiste il terroir più vocato per quella specifica cultivar – che se ne può comprendere il vero potenziale. La professoressa Oriana Silvestroni ha voluto ricordare come vi sia una scarsa propensione da parte del legislatore a recepire l’innovazione in ambito viticolo e a promuovere nuovi incroci, e questo proprio quando ce ne sarebbe più bisogno, visti i cambiamenti dei gusti dei consumatori ed i repentini mutamenti climatici a cui stiamo andando incontro. Il giornalista Rocco Lettieri ha illustrato il caso di un azienda modello, Podere Forte, nel cuore della Val d’Orcia, come realtà capace di coniugare innovazione, qualità e rispetto dell’ambiente. L’enologo Paolo Vagaggini con il suo intervento ha inteso sottolineare che i Supertuscan servono “per giocare” e per incontrare i gusti dei consumatori lontani, ma con le Doc e le Docg non si scherza, quelle sono, e deve essere il mercato a venire loro incontro. Vittorio Fiore ha energicamente denunciato l’obsolescenza della normativa sulle Doc e la follia di disciplinari ingessati che non tengono conto dei progressi viti-enologici.

Al termine dei lavori, seguiti da un gran numero di convenuti (giornalisti, produttori, appassionati, operatori del settore), si è offerta la possibilità di partecipare ad un interessante banco d’assaggio – presenti oltre 70 produttori e più di 100 etichette -con una selezione di vini prescelti dal Comitato Scientifico e in linea con il tema della Giornata, a cavallo tra innovazione, tradizione e rivisitazione.

Nelle prossime settimane verrà preparato un volume con la raccolta completa degli atti del convegno in vista di una futura pubblicazione. Chi fosse interessato ad averlo potrà rivolgersi agli addetti stampa indicati in calce, che daranno tutte le informazioni al riguardo. Anche il materiale fotografico è disponibile su richiesta.

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