Convention Food&Wine 2007: Identità, l’arma vincente per affermare il vino italiano nel mondo.

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Si è chiusa ieri la “Worldwide Convention Food&Wine”, il grande evento internazionale che ha coinvolto in Abruzzo oltre 100 tra operatori, trade analyst e giornalisti provenienti da 40 Paesi stranieri e dall’Italia insieme ai massimi rappresentanti nazionali delle organizzazioni del settore e delle istituzioni. L’iniziativa, organizzata dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Abruzzo, dall’Arssa Abruzzo e dall’Istituto per il Commercio con l’Estero (Ice), ha fornito spunti importanti sugli indirizzi da adottare per consolidare la posizione del made in Italy agroalimentare nel mondo, partendo ovviamente dal vino quale prodotto di eccellenza del comparto.

“Si è trattato di un’occasione straordinaria per comprendere quale sia la percezione del vino italiano all’estero – ha commentato l’assessore regionale Marco Verticelli, responsabile della promozione nella Conferenza degli assessori regionali – e quali potrebbero essere le politiche e le strategie necessarie per migliorare i rapporti tra la nostra produzione, i consumatori e i nostri competitors. E’ emersa da un lato la necessità di intercettare nuove fasce di consumatori ma anche la necessità di fare squadra in una fase delicata nella quale si discutono le nuove regole per la vitivinicoltura a livello comunitario”.

Nella tavola rotonda dal titolo “L’immagine del vino italiano“, svoltasi giovedì 13 settembre alla Badia di Corropoli (Teramo), nove esperti, importatori e giornalisti dei cinque continenti hanno analizzato l’immagine del vino italiano nelle rispettive aree di mercato – Stati Uniti, Canada, Russia, Brasile, Giappone, Svezia, Corea, Germania e Regno Unito – ed hanno evidenziato la crescita continua dell’export del vino italiano negli ultimi anni, con un andamento dettato dal forte appeal dell’italian style, un modo di vivere che si traduce nella ricerca del buon cibo e dell’ottimo vino, specie tra il pubblico più giovane. Il consumatore oggi vuole maggiore informazione – hanno detto i nove relatori moderati dal giornalista Daniele Cernilli – e nei prodotti cerca sempre più autenticità, qualità e originalità, caratteristiche intrinseche dei prodotti italiani.

“In un mercato sempre più globalizzato, dove la politica commerciale dei Paesi del nuovo mondo è sempre più aggressiva – ha sintetizzato il giornalista canadese Nick Hamilton nella sua approfondita analisi – l’Italia, pur vantando un’ampia diversificazione produttiva grazie all’unicità dei territori e quindi dei suoi vini, rischia di perdere ulteriore terreno se non si rinnoverà nelle politiche di marketing collettivo, il che significa un approccio mirato per i diversi mercati di riferimento a seconda se si tratti di mercati tradizionali o nuovi, l’adattamento alla cucina locale dove si esporta e non solo a quella italiana, ma anche semplificazione e chiarezza delle etichette, innovazione nel packaging e maggiore ispirazione alle modalità di consumo delle nuove generazioni”.

Queste posizioni sono state affrontate com’era nelle previsioni nel convegno dal titolo  “Made in Italy o…made in Doc? Obiettivi e strategie per la promozione del vino italiano”, svoltosi due giorni dopo, sabato 15 settembre a Pescara, alla presenza dei rappresentanti delle organizzazioni nazionali della filiera vino e delle istituzioni, tutti concordi nel dichiarare come necessaria la costituzione di una cabina di regia per la promozione dell’agroalimentare italiano all’estero che sappia sintetizzare obiettivi e strategie ed ottimizzare le risorse nazionali e comunitarie a disposizione.

“In un mercato sempre più globalizzato occorre puntare sul valore identitario delle produzioni – ha ribadito in apertura l’assessore all’agricoltura della regione Abruzzo Marco Verticelli – ma occorre fare attenzione nelle scelte, perché se da un lato non credo che il nostro Paese debba puntare sull’Igt Italia, a differenza di quanto sta succedendo in Francia o in Spagna, dall’altro è anche vero che molte Doc esistono solo sulla carta, che c’è una frammentazione alla quale non corrisponde una reale diversità produttiva o di territorio da far valere utilmente sul mercato. L’Abruzzo in questo è stato coerente perché ha puntato sul binomio vitigno-territorio con le due Doc che ne portano il nome, Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo, che negli ultimi anni hanno guadagnato quote di mercato facendo valere il favorevole rapporto tra quantità, qualità e prezzo”.

Se secondo Roberto Lovato dell’Ice “accanto al made in Italy e al made in Doc va considerato anche il made in brand, ossia il posizionamento delle aziende, e tutti e tre possono convivere e aiutarsi a vicenda perché non sono incompatibili”, il vice presidente di Assoenologi Alberto Mazzoni ha ribadito come “l’Italia deve far valere la sua antica tradizione enologica di qualità e la sua immagine complessiva, ma deve avere un occhio attento alla capacità di spesa del consumatore”.

Piuttosto decise le opinioni di Enrico Drei Donà, consigliere dell’Unione italiana vini e presidente dell’Agivi, secondo il quale “La riforma dell’Ocm arriverà a nuocere la capacità di penetrazione sui mercati ed è per questo che non è più rinviabile l’idea di un lavoro in squadra per una visione integrata della promozione italiana finora non si è mai verificata” e quella del vice presidente di Federdoc Francesco Liantonio, che ha spiegato l’importanza di rafforzare le regole e di puntare sulle doc proprio perché rappresentano il patrimonio nazionale, lasciando meno spazio alle produzioni indifferenziate che rappresentano una visione ristretta e poco lungimirante della produzione italiana. Siamo preoccupato delle posizioni dell’Europa che tiene troppo conto dei valori del nuovo mondo e del nord e poco dei Paesi storici, tanto che ha stanziato 120 milioni di euro per la promozione del vino, assegnandone 29 all’Italia e 20 alla Gran Bretagna che non produce vino”.

Una visione confermata da Flavio Tattarini, Presidente dell’Enoteca Italiana, il quale ha sottolineato che “occorre valorizzare le unicità del territorio italiano e considerare la frammentazione italiana come una ricchezza che deve essere però organizzata. E’ pertanto necessario individuare un soggetto che possa coordinare la promozione del vino italiano ma anche affiancare all’informazione la necessaria formazione sia degli operatori sia dei consumatori dei nuovi mercati”. Giorgio Serra, nell’illustrare il ruolo di Buonitalia, ha sottolineato l’importanza della distribuzione e della ristorazione italiana, ed ha annunciato un incontro del 1 ottobre per studiare gli strumenti da mettere in campo anche per il restyling delle enoteche regionali come valido supporto alle iniziative nazionali.

“Il vino è plurale ed evoca i temi della diversità e dell’identità – ha concluso il Sottosegretario al Ministero delle Politiche agricole Guido Tampieri – e si tratta di principi durevoli in epoca di globalizzazione che deve essere affrontata con regola precise. L’identità è la chiave di lettura, non considerata frammentazione ma sintesi, ma occorre lavorare di più sulla provenienza delle nostre produzioni, perchè all’estero spesso viene apprezzato un prodotto ma non si conosce la sua provenienza che per noi invece deve rappresentare il valore aggiunto da tenere in alta considerazione perché aumenteranno le esportazioni e non i consumi interni. Dopo la battuta di arresto del 2003, nel 2006 l’export italiano è aumentato dell’11% in volume e del 5,8% in valore mentre nel 2007 siamo arrivati rispettivamente al 19% e al 15%, dati che confermano lo stato di forma del settore. Occorre produrre meno quantità e più qualità perché dei 3,1 milioni di euro vini esportati, 1,8 milioni non è doc. E’ un settore sano e vitale ma che si trova ad affrontare la nuova Ocm per la quale perderemo alcune partite, come nel caso dello zuccheraggio che difficilmente potremo impedire”.

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